venerdì 11 dicembre 2015

Profumi di te

Leo nella sua palestrina
Il tuo alito che sa sempre da latte.
La tua testa, che dall'alto bacio, e i tuoi capelli, con cui mi accarezzo le guance e il mento mentre ti tengo in braccio.
Le tue mani, sempre calde, che sanno di tutto e di buono.
I tuoi piedini, che annuso ogni volta che posso.
Le tue orecchie e i tuoi occhi, perché anche essi hanno un profumo.
Dietro le tue orecchie e dietro il tuo collo.
La pelle del tuo pancino.
I tuoi vestiti: li butto a lavare ma prima mi ci immergo con il viso e sorrido e poi torno indietro perché già mi manchi.
La tua crema, quando ti cambio; poi vado a fare la spesa e al supermercato passo il tempo con le mani al naso.
L'amido di riso del tuo bagnetto.
Il profumo della tua totalità, ovvero ciò che riuscirei a distinguere in mezzo a mille altri. 
Il profumo di te, della mia vita, della nostra gioia.

mercoledì 18 novembre 2015

I tuoi e i nostri primi cinque mesi

Mamma Irene e Leo
Il mio ultimo post su questo blog risale allo scorso 28 ottobre. Tre giorni dopo sarebbe stato il mio ultimo giorno di lavoro e quattro giorni dopo sarebbe iniziato il mio nuovo incarico di papà a tempo pieno. I giorni trascorsi tra quel post e quello di oggi parlano da soli. Sono stato splendidamente impegnato h24 con Leo e Irene, e a parte qualche piccolo impegno di lavoro, siamo stati sempre insieme. Tutti e tre siamo andati in giro, a seguire i lavori della nostra nuova casa, a scegliere il caminetto, a passeggiare, a goderci il nostro tempo senza orologio.

Oggi voglio raccontarvi i primi cinque mesi di Leo, compiuti il 15 novembre. Lo faccio in treno verso Milano perché a casa forse non avrei avuto tempo, per dire. Sono stati 152 giorni di un nuovo corso. Giorni che vivono di vita propria, ognuno con un ricordo appiccicato sopra.

Forse è questa la vera “grande bellezza”: un bambino ti regala qualcosa di nuovo ogni giorno. C'è una frase ritrita: “ogni giorno una scoperta”: è proprio così. Per lui e per noi. Dalla prima volta in cui, in modo volontario, con la manina ha toccato il mio viso, al primo urlo per provare la voce, alla cantilena rauca; dalla prima risata travolgente e incessante fino al giorno in cui è riuscito a rimanere seduto da solo. Passando per il primo cucchiaino di frutta, per la prima vacanza e per altre mille prime volte. Ma anche per il primo pianto a dirotto, per la prima notte in bianco, per i primi fastidi dentali e per altre mille prime volte meno belle ma assolutamente essenziali nella crescita di tutti e tre.

In questi cinque mesi Leo è passato da 3,5 chili a 7,5. Da 54 a 72 centimetri. Ma non è stato l'unico a crescere. Io e Irene siamo diventati genitori. O meglio: stiamo diventando genitori. Stiamo crescendo anche noi. Stiamo imparando ogni giorno qualcosa di nuovo, con stupore e sorpresa quotidiani. Con le nostre cappelle, con i nostri errori, con le nostre intuizioni. Abbiamo gioito e fatto fatica. Insieme. Con la salda convinzione che siamo noi a doverci adattare alle sue esigenze e non viceversa, che quando Leo piange è perché qualcosa non va e non perché ha il piacere di rompere. Perché “una mamma lo sa”. Perché “un papà lo sa”.

Io ho la testa in aria. Dimentico le cose. Sono rilassato. Lascio in giro il telefono. Mi perdo a giocare in palestrina con Leo. Mi ubriaco di momenti. Questa notte Irene era andata in bagno. Leo era nel nostro letto e si muoveva, in dormiveglia. L'ho preso in braccio mentre ero seduto nel letto, a gambe incrociate. Lui si è rannicchiato in modo quasi fetale e si è nascosto tra le mie braccia. Era piccolissimo.

Ogni giorno è scandito da un ricordo. E potrei raccontarvi quello di ieri e quello di ieri l'altro. Perché quando chiudo la porta di casa nostra, il nostro mondo prende vita e quello imperfetto e psicopatico rimane fuori. Il nostro è un mondo perfetto e autonomo. So che non sarà sempre così, ma se ci pensi non lo vivi. E, mentre scrivo, è iniziato il sesto mese. Buona vita a noi.

mercoledì 28 ottobre 2015

E poi quando ti svegli...

Io e Leo durante una libera uscita senza mamma
Sarebbe impossibile raccontare qui tutti i momenti fantastici che mi regalano 24 ore con Leo. Ogni minuto è un ricordo, ogni ora un pezzo di vita trascorso insieme che custodirò per sempre, anche quando avrà i piercing e utilizzerà il "cioè" come intercalare (farò tutto per proteggerlo, non dai piercing ma dal sanguinosissimo "cioè"). Questi, per esempio, sono i giorni in cui si "morde" il labbro inferiore e fa strani rumori tipo ventosa. È divertentissimo (e sempre emozionante come ogni cosa nuova), ma appena scoppiamo a ridere si offende e smette subito.

Però c'è un momento che si ripete tutti i giorni e che per me è il più bello e dolce in assoluto. Perché è quello in cui mi appare maggiormente indifeso e tenerissimo. È il risveglio dopo la notte o dopo il riposino. Apre gli occhi, serissimo. Si guarda in giro e dopo aver appurato che non si trova in un campo di prigionia, inizia a riempirci di sorrisi e carezze, a destra e a sinistra, al papà e a mamma Irene. E, mentre inizia l'accuratissima fase di stiracchiamento, continua a farsi coccolare. Mentre mi fa le carezze poi scoppia a ridere perché gli fa solletico la barba sulle mani. 

Sì, è davvero bellissimo esserci in quel momento. E proprio mentre sono lì, di solito appollaiato in malo modo ai piedi del letto o del divano, che tutto intorno a noi improvvisamente sparisce e perde colore, e quei pochi centimetri diventano il centro dell'universo. Un centro dei colori dell'arcobaleno in cui tutto è perfettamente compiuto. Dita nel naso, graffi alle gengive, mani insalivate spiaccicate sugli occhiali. E io e la sua mamma a penzolare dai suoi occhi pieni di vita: "continua amore, continua!". 

Ma tutto ha drammaticamente un inizio e una fine. E, dopo alcuni minuti in cui ci si è concesso, Leo decide che è ora di finirla con le smancerie e dice "basta, ora vai a cambiarmi babbeo, che razza di giochi fai? Non sai che ho già 4 mesi e mezzo?". E io, mortificato, obbedisco, lo carico in braccio e lo porto sul fasciatoio e... si ricomincia! 

Sin dai primi giorni Leo ha eletto il fasciatoio a porto sicuro, a base logistica, a bunker anti-atomico: quando è lì si diverte un sacco e quando i primi giorni scoppiava a piangere, bastava adagiarlo lì per far cessare le lacrime all'istante. E allora di nuovo solletico, baci rumorosissimi sulla sua pancetta, annusamenti di piedini sudati e fitto dialogo con Cippi, un uccellino di pelo attaccato ad un rubinetto con cui Leo si con confronta sui grandi temi internazionali. E quando io sono ormai lanciatissimo, mi sto divertendo un monte producendo vocine irripetibili, ecco che in un momento Leo ristabilisce le gerarchie: pipì, improvvisa e incontenibile, che di solito cerco di arginare con la mano. E lui, finita la prestazione balistica, mi guarda e sorride: "bravo babbo, bella presa, ma puoi fare di meglio".  

E allora si ricomincia  e non si finisce mai.

giovedì 15 ottobre 2015

L'identità di padre

BennyPapà e il piccolo Leo
In ogni fase della nostra vita siamo stati qualcosa. Ci siamo definiti (o siamo stati definiti) in un certo modo. Siamo stati il lavoro che facevamo in quel momento, un nostro hobby, una caratteristica di noi. A memoria sono stato prima scolaro, poi liceale, attivista politico, cronista, universitario, stagista, scrittore, speaker radiofonico, opinionista tv, pr e un po' d'altro. Diciamo che generalmente la nostra professione ci ha sempre identificati, all'esterno e con noi stessi. Con orgoglio o meno.

Quando è nato Leo, intendo nel momento esatto, mi sono sentito perfettamente definito dall'essere suo padre, senza necessità di essere o sentirmi altro. Mi spiego: non mi importava essere l'altisonante coordinatore della radio ufficiale di una squadra di Serie A, né il responsabile della comunicazione di un grande parco sportivo, né altre cose che facevo all'epoca. In quel momento mi sentivo prima di ogni altra cosa il papà di Leo. Una "condizione" che mi riempiva d'orgoglio. "Ciao, sono Benny, sono il papà di Leo". Punto. Senza avvertire alcuna frustrazione nell'essere "solo" un padre e non un astrofisico o uno scrittore da best seller.

Non è un discorso puramente teorico. Quando è nato Leo ho lasciato alcuni lavori e alcune collaborazioni che avevo in essere. Ho tenuto solo un'attività da otto ore al giorno in modo da essere a casa il prima possibile. A breve lascerò anche questa e mi dedicherò ad altre attività che mi consentano di stare il più possibile a casa e lavorare da pc. Non so se questo danneggerà la mia carriera e la mia crescita professionale. La verità è che, giusto o sbagliato, me ne frega poco. Io voglio essere il miglior papà possibile per Leo, tutto il resto viene e verrà decisamente dopo.

Voglio esserci in ogni istante della mia vita di mio figlio. Finché lui vorrà. Gli garantirò un futuro adattando la mia vita lavorativa a lui. Questo perché odio i rimpianti, non mi perdono gli errori. Lavoravo dodici ore al giorno. Tra dieci anni sarei stato certamente più ricco di quanto non sarò. Ma avrei ripetuto frasi che sento spesso in giro: "che peccato non essermi goduto di più mio figlio". Io lo sto facendo e voglio farlo finché potrò. Sarà meglio avere un rimpianto lavorativo che un rimpianto da genitore. Mio figlio è il mio mondo, tutto.

P.s. Questa è la mia vita. Questa è la mia storia. Non voglio e non posso generalizzare. Non mi metto nei panni di chi sarebbe disposto a tutto pur di lavorare e che magari leggendo questo post si è indisposto. Racconto solo di me stesso. Senza moralismi e retorica.

mercoledì 7 ottobre 2015

Il mestiere di mamma

Mamma Irene mentre allatta
Ci sono cose che puoi raccontare in modo eccellente. Puoi riuscire a farle vivere ai tuoi lettori mentre essi leggono. Puoi far vedere loro, tramite la tua penna, qualcosa che hai vissuto. Ce ne sono altre ("per fortuna" dirà qualcuno) che mai nessuno riuscirà a declinare in parole senza privarle del loro valore reale. Raccontare cosa voglia dire essere mamma, dal punto di vista del papà, è una di queste. 

Leo il 15 ottobre compirà 4 mesi. Mesi di cui ricordo uno per uno i giorni. Mesi in cui ho cercato di esserci il più possibile (riuscendoci, credo). In questo periodo ho ovviamente continuato a lavorare limitando i miei orari, cercando di volare a casa subito dopo, passando spesso per poco elastico o addirittura scansafatiche. No, nonostante questo non posso dire di aver vissuto 24 ore su 24 con lui. Irene sì, lei può dirlo. Ogni ora sicuramente, forse quasi tutti i minuti. Lei lo ha allattato, lo ha addormentato, lo ha calmato, lo ha fatto ridere la prima volta e consolato all'ultimo pianto. Ogni giorno, ogni ora. Anche ora mentre io scrivo. Lei c'è sempre stata. E sempre ha un solo significato. 

Io ci sarei riuscito? L'uomo (io) fa un gesto che una mamma non contempla: quando non riesce a consolare o addormentare il bambino, quando la situazione non è semplice, lo cede alla mamma. Come se ad essa fosse affidato il compito di supplire alle mancanze o incapacità del padre, come se lei (e solo lei) avesse sempre in tasca, come le monete, il modo per risolvere tutto. Io sapevo bene (e da molti anni) che Irene possedeva una forza dirompente. Chi la conosce lo sa, non voglio qui raccontare come e perché sia diventata di ferro senza però perdere la dolcezza. Ma la forza, la determinazione, la dedizione, l'amore e l'intelligenza che servono a crescere un figlio hanno coefficienti altissimi. Che a volte anche donne eccezionali nella vita quotidiana non riescono a raggiungere. Irene, nella sua per me eroica quotidianità, sta eccellendo in ogni aspetto. 

Una mamma è capace di anteporre il proprio figlio a tutto. Sembra una frase fatta. Intendo anche a cose banali: io riuscirei a non dormire 24 ore e rimanere lucido, reattivo e dolce con il mio bambino (che, beninteso, amo più di ogni altra cosa)? Io riuscirei a gestirlo 24 ore su 24? Per non parlare dei sacrifici e dei dolori della gravidanza e del parto (ho bisogno dell'epidurale al solo pensiero). Con tutta sincerità non credo. 

Mi rendo conto che può sembrare un insieme di frasi retoriche. Ma fidatevi: chi non vive accanto ad una mamma non può minimamente immaginare cosa voglia dire essere una mamma. È un lavoro, il più bello del mondo, ma allo stesso tempo il più complesso che possa esistere. Ho la fortuna di avere un figlio che è la gioia e la vita in carne ed ossa, ma ho il privilegio di crescerlo insieme ad una super mamma che non ha paura di nulla e supplisce anche alle mie mancanze di uomo normale. 

Noi italiani diciamo sempre una cosa che fa ridere gli stranieri (sì, anche quelli che truccano le auto): "la mamma è sempre la mamma". Fino a quattro mesi fa era pura retorica, ora è la dimostrazione empirica di un teorema: la mamma è più di metà, la mamma è un po' meno di tutto.

lunedì 28 settembre 2015

Il cuore tenero di papà

Sono sempre stato un romantico, un sognatore, in ogni aspetto della mia vita. Ma, come ho già raccontato in questo blog, non sono mai stato travolto dalle emozioni. Dopo la nascita di Leo qualcosa (di grosso) è cambiato. Dopo l'inconsolabile pianto di gioia da cui sono stato letteralmente travolto al momento del parto, ci sono stati altri episodi indelebili che voglio raccontare oggi.

Il primo è accaduto la prima o la seconda notte a casa. Eravamo sul letto con Irene cercando di approfittare del sonno di Leo per riposare anche noi. Ma di dormire non c'era verso perché volevamo parlare, volevamo ricordare insieme quanto vissuto qualche giorno prima. Ed è stata una frase di Irene a farmi crollare (e due!). Stavamo rivivendo attimo per attimo il parto e lei: "Ricordo ogni parola che mi hai detto durante tutto il travaglio". In quel momento abbiamo sentito uno sparo: era il mio self-control che si toglieva la vita. Sono esploso ancora una volta in un pianto di purissima gioia. Così, già che c'era, anche Irene si è unita. Credo sia una frase dolcissima, piena d'amore.

Il secondo momento il cui il mio nuovo cuore tenero mi ha tradito è stato circa una settimana fa. Leo è nella fase in cui inizia ad avere il pieno controllo dei movimenti delle braccia e delle mani. Mentre eravamo sul divano a coccolarci, lui ha alzato il braccio e con la mano ha iniziato a toccarmi la bocca, il naso, le guance. L'ho visto scoprire pian piano il mio viso, e mentre lo faceva sorrideva. Secondo sparo e addio ad un'altra vita del self-control.

Il terzo e il quarto episodio sono accaduti questa mattina. Prima di andare a lavoro stavo facendo un po' d'ordine nei cassetti della cucina. Tiro fuori alcuni sacchetti dell'Ikea, quelli che si sigillano con le mani (nella foto in alto). Tra questi c'erano quelli che Irene aveva preparato, con tanto di etichetta, per i giorni pre e post parto: asciugamano, primo cambio carrozzina, sala parto. Terzo sparo. Ho rivissuto i momenti in cui abbiamo acquistato quelle etichette, in cui piegava e sigillava quei vestiti che io avrei preso in mano nei minuti successivi al parto.

L'ultimo sparo si è udito poco dopo. Io e il mio redivivo self-control accendiamo il pc per scrivere questo post e per non sbagliare facciamo un giro su Facebook. Mi si apre questo video. Ad un bambino affetto da sordità, che avrà avuto l'età di Leo, viene applicato per la prima volta l'apparecchio acustico. E, per la prima volta, sente la voce della mamma. Un video che prima di avere Leo mi avrebbe fatto sorridere per qualche secondo, ma che subito dopo avrei archiviato senza serbarne ricordo. Rischio la banalità: ci sono cose che se non sei un genitore non potrai mai, mai capire, analizzare, comprendere e vivere. E io, ovviamente, l'ho capito solo ora.

mercoledì 23 settembre 2015

Dall'ospedale a casa, da coppia a famiglia

BennyPapà e Leo il 27 giugno
Le prime tre notti dopo il parto Irene non ha mai chiuso occhio. Allattamenti, certo, ma soprattutto coccole e voglia di non smettere mai di guardare Leo. Temevamo che, a causa della piccola emorragia avuta durante il parto, la tenessero in ospedale più dei canonici tre giorni previsti dopo il parto naturale. Invece, la mattina del 18 giugno, l'ostetrica ci comunica che dopo le visite saremmo potuti andare a casa.

Tornare a casa dopo il parto è un momento bellissimo e un rito in sé: la preparazione dei bagagli, l'allestimento dell'ovetto dopo lo studio e le prove effettuate in gravidanza, la disattivazione dell'air-bag del lato passeggero, il guidare come se si trasportassero uova senza guscio, l'aprire la porta e per la prima volta tornare a casa come una famiglia dopo esserne usciti, l'ultima, in due, di corsa e con una pancia enorme.

Quel 18 giugno, comunque, è tutto pronto. Leo va in ovetto e si lamenta un po'. Irene, dal colorito tra il giallo e il bianco, raccoglie le ultime cose e, aiutati da nonna Antonella, usciamo dall'ospedale. Saliamo in auto e partiamo. Anzi no. Prima perdo una decina di minuti con il manuale dell'auto in mano perché non riesco a disattivare l'air-bag del lato passeggero. Se state ridendo non è un bel gesto. Quindi, dopo imprecazioni e sudata caldo-fredda, si parte. 

Durante il viaggio Leo piange un po', così inizio a cantare canzoni completamente inventate. Provo anche con la radio. Così, dopo 10 minuti che sembrano svariate ore, arriviamo a casa.

È tutto nuovo in tre. Improvvisamente, anche a causa di passeggini e affini, la casa sembra più piccola di quel che (realmente) è. Io ho ancora quattro giorni di ferie e stiamo tutti e tre 24 ore su 24 insieme. Dormiamo quando dorme Leo e, mentre Leo dorme, mangiamo, sempre rigorosamente attaccati alla navicella. Sì, Irene, più che Benny, è terribilmente (o fantasticamente) simbiotica.

No, non è tutto poesia, non è tutto facile. Durante le prime notti dormiamo al massimo 3-4 ore. Siamo dilettanti, dobbiamo capire. Di là dorme mia madre, ma noi vogliamo e dobbiamo cavarcela da soli. E allora non capiamo: "ha fame, non ha fame, ha sonno, non ha sonno, ha le coliche ecc.". Ci innervosiamo, litighiamo. Poi, al sorgere del sole, dimentichiamo tutto. 

Oggi, che sono passati più di tre mesi, siamo felici di aver sbagliato, di aver litigato, di non aver capito. Bisogna provare e sbagliare. Bisogna conoscere il proprio figlio perché non esiste un manuale o dei consigli universali. Bisogna abituarsi a rigurgiti e a cacca e pipì fuori dal pannolino in piena notte, a resistere alla tentazione del "dai, dorme, lo cambieremo appena si sveglia" quando è evidente che sta navigando nella cacca. Così, ancora oggi, per me è bellissimo svegliarmi un paio di volte a notte, tutte le notti, prendere in braccio Leo, appoggiare la sua testa al mio petto, e andarlo a cambiare. Lui ride, mi parla e io lo coccolo. Poi, pulito, va dalla mamma che lo allatta. E io torno a dormire. Lei lo allatta, lo tiene su, e dopo il ruttino lo rimette nella culla. E poi torna a dormire.

Siamo una squadra. Non so se la più forte o la più scarsa, ma siamo la nostra squadra. E ogni giorno sbagliamo e cerchiamo di imparare. Ecco, forse ad oggi è questa la definizione che posso dare dell'essere genitori. Si cerca di essere i migliori, non sempre si riesce, ma sempre ci si prova.

venerdì 4 settembre 2015

E poi Leo è nato! (seconda parte)

Finalmente noi tre! Pochi minuti dopo il parto

Lo vedo solo con la coda dell'occhio. Lo sento piangere immediatamente. Irene scoppia a ridere, io in un pianto che non riesco a trattenere. Pianto di gioia, ma anche liberatorio. Abbraccio Irene e continuo a riperetere "è nato, è nato, amore è nato e sta bene". E piango ancora, come se non ci fosse un domani. 

Il pediatra lo prende dalle mani dell'ostetrica e lo porta in un'altra stanza per due, tre minuti. Poi torna e lo dà alla sua mamma. Per la prima volta vedo nostro figlio Leo: è l'immagine più bella del mondo, di un'intensità che mi toglie tutte le energie. 

Leo è tranquillo, non piange, si guarda intorno. Lui non sa ancora quanto lo abbiamo voluto, quante persone lo stiano già aspettando. Quanto il mondo sarà migliore grazie a lui, se solo lui lo vorrà. Sono momenti che avrei voluto riprendere, o forse no. Per rivederli, o forse no, perché rimangano solo nella nostra memoria, unici, irripetibili. Anche perché, se fisso una parete bianca, li vedo proiettati, attimo per attimo. 

Poi Irene decide che va tutto troppo bene e dunque vale la pena regalarci un po' di thrilling. Ha una piccola emorragia, niente di eccessivo, ma è molto vicina a perdere i sensi. Mi danno Leo in braccio, nel suo fagotto, tranquillo, sereno. È la prima volta. Mi sento nel posto più alto del mondo e guardo tutto e tutti da lassù. 

I medici iniziano ad armeggiare su Irene. Sento che qualcosa non va e inizio ad avere paura. Paura e gioia. Leo mi tranquillizza. Ostetrica e ginecologa continuano a controllare la sacca che raccoglie il sangue. Da lontano, dall'altro lato della stanza, parlo con Irene: "Amore non addormentarti, stai con noi, guarda Leo...". Lei risponde con dei suoni. No, non va bene. La paura aumenta. Poi, dopo 20 minuti, lentamente riprende conoscenza, l'emorragia si ferma e può riabbracciare Leo. Che, appena sente il seno, si attacca e, come se lo facesse da una vita, mangia. Ci abbracciamo tutti e tre e tutto intorno diventa il luogo più bello del mondo.

Ci accompagnano in stanza. I nonni di Verona (con le zie) ci stanno già aspettando, quelli siciliani (con la zia) sono pronti per prendere l'aereo. Arrivano Andrea e Veronica che portano etti ed etti di soppressa in smacco alla toxo che ora appare inoffensiva. Portano un quotidiano, la Repubblica, perché Leo un giorno possa leggere cosa accadeva in questo giorno speciale. E poi non ricordo altro. 

Leo a poche ore dal parto è già bellissimo. Stupendo. Tranquillo. Sereno. Apre gli occhi, si addormenta, mangia. Sono pazzo di gioia. Riesco solo a capire questo. È piccolo e grande, è forte e delicatissimo. Sembra nato da qualche giorno, ha un colorito bellissimo. Irene, invece, non ha più alcuna forza. Ha perso molto sangue, continua a tentare di svenire. 

In quel momento vorrei abbracciare e baciare l'ostetrica, il personale sanitario, tutti quelli che mi hanno dato tra le braccia mio figlio. So anche che se qualcosa fosse andato storto sarebbe stata "solo colpa loro, incompetenti, vi rovino ecc.". Siamo così, viviamo di incoerenza. 

Scrivere e rivivere quei momenti mi ha tolto le energie. Mi rendo conto che è davvero troppo, troppo grande quello che è accaduto. Oggi, 15 giugno 2015, dalle 18.45 è iniziata una nuova vita. Quella di Leo e la nostra, che per Leo viviamo. È iniziata la storia più bella mai scritta, ancora tutta da scrivere. Sarà un romanzo sociale, condiviso. Io farò di tutto perché il suo mondo sia il migliore possibile, perché la sua storia sia la più bella. Non so se ci riuscirò, ma ci proverò in ogni gesto, in ogni attimo, in ogni sospiro.

giovedì 3 settembre 2015

E poi Leo è nato! (prima parte)

Irene ad un paio d'ore dal parto. Soffro di più io
È il 15 giugno 2015. Mancano 6 giorni al termine della gravidanza. Tutto sta procedendo per il verso giusto. Oggi ho una riunione alle 9 e una conferenza stampa alle 10.30 a Peschiera del Garda. Alle 7 mi sveglia Irene. "Ho le contrazioni, mi sembrano forti e costanti". Anche due giorni prima era successa la stessa cosa, ma tutto era rientrato. "Ok, io vado, se continuano chiamami e arrivo al volo". Alle 9.30 arriva la telefonata: "Amore, ho fatto la doccia e credo si siano rotte le acque, ho perso il tappo... vieni a casa!". Mentre guido mi arriva un sms da sua sorella, Arianna: "Fai veloce, grazie". 

Pausa. È difficile anche solo pensarlo questo post. L'emozione di quel giorno è troppo grande. Ho gli occhi con i lacrimoni pronti a debordare. Ma state lì, fate i buoni. È troppo grande, troppo bello per riuscire a raccontarvelo come si deve. 

Ok, va meglio. Dicevo che parto e volo a casa. Tutto è pronto per andare all'ospedale Borgo Trento, che ha seguito passo passo e monitorato con grande attenzione la gravidanza di Irene. Ha voluto occuparsene direttamente la dottoressa Debora Balestreri, responsabile di ostetricia e sala parto. Diciamo il Messi del Barcellona. Le contrazioni non cessano, anzi, aumentano di frequenza e intensità. Sono tentato dalla tamarrata del fazzoletto bianco dal finestrino, ma non lo trovo. Arriviamo e subito viene attivato il tracciato. Sembra che le contrazioni non siano così forti. Poi subito la visita: "Signora è dilatata di 4 centrimetri, la accompagnato in stanza". Bene, penso, ora con calma ci metteranno in stanza e chissà quando nascerà. Come spesso accade non avevo capito nulla. La "stanza" è la sala parto. Sento che tutto il mondo ha pigiato sull'acceleratore e non riesco a starci dietro. "Di già? Adesso? Aspettate, non capisco, cioè". Ma tutti vanno veloce e non mi ascoltano. 

Ci accompagnano in una tranquilla e rilassante sala parto. Ci affidano ad una giovanissima ostetrica, Ilaria Bettinsoli. Piccola e minuta. La guardo e dico: "Tutto qui? Lei, da sola, farà nascere mio figlio? Speriamo almeno non sia al suo primo parto". Mi sentirò molto pirla per questo pensiero. Se la Balestreri è Messi, lei è tranquillamente Iniesta: tutti dicono un gran bene di lei. 

Ah sì, non l'ho detto prima: Irene farà un parto naturale, anche se altri addetti ai lavori avevano avanzato alcune perplessità rispetto alla sua paraplegia, alla sensibilità alle contrazioni ecc. La Mortaro prima, e la Balestreri poi, sono sempre state certe di ciò: "Farai un bellissimo parto naturale". Quindi dobbiamo solo aspettare. 

Parliamo, scherziamo, mangiamo. Ci selfiamo. Ogni due ore viene visitata. La dilatazione aumenta: prima 6, poi 8. Poi, nel giro di un'ora, arriva a 10 centimetri. Ora Irene inizia ad accusare un dolore vero. Non fa più il fenomeno. Fino a quel momento era l'attrazione del reparto: "Oh, di là c'è una dilatata 8 che non ha male". Le contrazioni ora le sente eccome. 

"Sento di dover spingere" dice all'ostetrica. "Aspetta, è troppo presto". "No, non riesco a trattanere". "Ok - dice l'ostetrica - mi preparo". Ok, ora ho capito davvero. Leo sta per nascere. Per davvero. Dopo nove mesi ci siamo. Tutto sarà finito tra poco e inizierà di nuovo. Siamo alla fine del travaglio. Arrivano le infermiere, due ginecologhe e l'anestesista. I minuti passano veloci come i secondi. Inizio ad avere paura di svenire davvero. Da spavaldo a pirla, ancora. Irene inizia a spingere sul serio. Leo ha la testa praticamente ormai al limite. Io è da almeno più un'ora che con un ventaglio produco più energia di una pala eolica. Guardo Irene, guardo lo staff sanitario. Capisco che sono preoccupati perché quando Irene spinge il battito di Leo perde intensità. Intuisco che non vogliono correre rischi e risolvere tutto in un paio di spinte. La ginecologa è siciliana, di Palermo credo. "Signooora, spinga forte che a questa nasce". Arriva la contrazione. Irene spinge fortissimo. Fermo l'immagine e vedo una donna bellissima che sta per regalarmi la gioia più bella di sempre. È sudata, scapigliata, stravolta dal dolore ma forte, coraggiosa e pronta. Schiaccio play, Irene urla, tantissimo, e in un solo colpo, tutto insieme, nasce Leo(continua...)

mercoledì 26 agosto 2015

La paura di non provare emozioni

Leo tra le braccia della sua mamma
Mi sono imposto, in questo blog, di non parlare di una cosa che ha condizionato la mia vita e quella dei miei familiari. Di mafia, in un blog dedicato a mio figlio Leo, non avrei mai voluto parlare. E infatti lo farò solo per inciso. Chi vorrà potrà approfondire il discorso e la storia della mia famiglia sul mio sito personale. Ma se non ne volevi parlare perché ne parli? Vi spiego.

Negli anni dopo gli omicidi di mio nonno e di mio zio nelle nostre vite sono accadute tante cose. Molte belle. Abbiamo ricominciato a vivere. Io ho realizzato quasi tutti i sogni della mia vita: scrivere sui quotidiani nazionali, dare alle stampe i miei libri, lavorare nel mondo della comunicazione, fare radio ecc. Mi rendevo però conto che quando mi accadevano queste cose, cose che fortemente volevo, che desideravo e per cui mi ero fatto un mazzo così, non riuscivo mai a goderne appieno. Mi aveva turbato, per esempio, riceve in mano la prima copia del mio primo libro e non andare oltre una breve ed effimera soddisfazione. Del tipo: "Ah, bello".

In sostanza credevo di non saper più provare emozioni. Né belle né brutte. Che le vicende accadute alla mia famiglia mi avessero reso anaffettivo, che per diventare capace di non soffrire in modo cronico fossi diventato anche incapace di gioire (in modo cronico). Mi ero anche documentato. Temevo finanche di soffrire di alessitimia.
Disturbo che compromette la consapevolezza e la capacità descrittiva degli stati emotivi esperiti, rendendo sterile e incolore lo stile comunicativo. I pazienti alessitimici, oltre alle difficoltà nel riconoscere, nominare e descrivere i propri stati emotivi, presentano stati emotivi attenuati o completa incapacità di provare emozioni. 
Quando con Irene abbiamo deciso di provare a "fare" Leo, era una delle cose che più mi opprimevano: 
"Riuscirò ad essere davvero felice? Riuscirò a provare, come si dice, l'emozione più grande della mia vita?". 
Già dopo il test di gravidanza avevo sentito qualcosa di mai provato prima, molto vicino all'ebbrezza: mi sentivo ubriaco di gioia. E così dopo la conferma delle Beta, dopo le ecografie in cui vedevo il suo piccolo cuore e lo vedevo pian piano crescere. Però continuavo a chiedermi: 
"sto provando davvero questa emozione? O la sto costruendo? Ed è giusto provare ciò, o dovrei provare altro?".
Lo so, state pensando che sono folle. Nessuno può smentirlo in effetti. Cioè posso dirvi di no, se vi fidate. 

Il momento in cui è nato Leo ve lo racconterò. Quello che ho provato anche. Ciò che posso dire oggi è che, nella mia testa, la nascita di Leo è stato un altro schiaffo alla mafia. Dopo quelli che queste cose inutili avevano già ricevuto dalla mia famiglia. 

Ciò che posso dire oggi è che sì, so provare emozioni e che no, non sono malato, non sono alessitimico. Sono un uomo normale, felice, che dalla vita ha già avuto, a 30 anni, tutto ciò che voleva da bambino, che vive con una donna splendida che è anche una mamma fantastica, con cui sta crescendo un bambino che al mondo è la cosa più bella e preziosa. E che dalla vita ora si aspetta solo di godere di questa creatura. La sua bellezza, la sua purezza, la sua perfezione sono il più grande schiaffo, di rovescio, alla mafia. Il più grande di tutti. Leo è libertà, Leo è voglia di vivere, Leo è vera antimafia.

mercoledì 19 agosto 2015

"Abbiamo l'erede!"

Il primo berrettino di Leo. Azzurro.
"Sapete già se è maschio o femmina?". 
"No".
"Volete saperlo, eventualmente?". 
"Certo, basta vestitini gialli dottoressa". 
"Be', sembra che abbiamo l'erede...". 

Il 27 dicembre siamo al pronto soccorso ostetrico dell'ospedale Borgo Trento di Verona per un controllo di routine. La specializzanda azzarda il verdetto ma non scommette un caffè: "Per un momento mi è sembrato di vederlo, ma si è subito girato". Avrà ragione lei. Sarà Leo. Non Calliope/Penelope/Chloè. Sarà Leo, ma ha rischiato di essere Radja. Invece sarà Leoebasta. Perché Leo? Per due ragioni: 

- il papà ha due cognomi e non corti. Con un nome lungo avrebbe iniziato a scriverlo in prima elementare e finito in terza media. E poi in fondo la penso come il fine pedagogista Troisi

- Leo perché papà e mamma amano l'arte e la scienza, incarnate e fuse insieme da un genio italiano come Leonardo. Questa è la motivazione alta da spacciare ad un determinato target di conoscenti. La verità è che papà ama profondamente Leo (Lionel) Messi

La nostra reazione, in attesa della conferma, è stata davvero "normale". Per entrambi, che fosse maschio o femmina, importava zero. Nessuna, nessuna preferenza. Volevamo lui o lei, profondamente. 

Un attimo dopo la conferma della morfologica, come era avvenuto per il bicarbonato, a Verona si esauriscono in poche ore le scorte di abbigliamento per bambino di colore azzurro. Irene è tassativa: "Solo cose azzurre... non colori neutri". Chiunque continua a regalarci oggetti di colore neutro viene dichiarato nemico della nazione e mandato in esilio insieme a Romeo, fuori dalle mura di Verona. 

Ed è così, dunque, che inizia un altro pezzo di questo tragitto. Con la consapevolezza che nascerà un maschietto. Che si chiamerà Leo, che avrà due cognomi, che vestirà di azzurro ma soprattutto che sarà accolto da un amore che mai nessuno riuscirà a descrivere perfettamente. Mai nessuno che non sia un genitore.

venerdì 7 agosto 2015

Mamma e papà dal primo momento

Il grafico del consumo di bicarbonato a Verona grazie ad Irene
Test di gravidanza: ok. Esami del sangue/Beta HCG: ok. Prima ecografia: ok. Abbiamo visto il tuo cuore che batteva, forte. E in quel momento ci siamo resi davvero conto che eri con noi. Tutto stava procedendo benissimo. 

Quando nasce un bambino molti lo dimenticano, perché la gioia di oggi appanna i ricordi di ieri. Ma è da quei primi momenti che inizi ad essere genitore. Se, come la nostra, è stata una gravidanza "programmata", ma forse è meglio dire "voluta", la mamma ha già eliminato i cibi non sanissimi e ovviamente non ha più toccato una goccia di alcol (no, nemmeno bagnarsi le labbra). Papà ha iniziato ad avere ancora più premure per la mamma e guarda la sua pancia ogni giorno e si chiede: "ma quando inizierà a crescere?". La mamma, a quattro settimane, la guarda e dice: "è già cresciuta" (...). Entrambi abbiamo iniziato, insomma, a prenderci cura del nostro piccolo da subito.

Irene era negativa alla toxoplasmosi. Per questa ragione il consumo di bicarbonato nella provincia di Verona ha avuto un'importante impennata. Tutto lavatissimo, meccanismi industriali di lavaggio di frutta e insalata ad immersione totale (metti la pesca in un contenitore profondo e la tieni sott'acqua con una tazza da due chili e mezzo per svariate ore). La carne diventa così cotta che se hai la marmellata puoi usarla come fetta biscottata. Il salame da amico fraterno diventa il pericolo pubblico numero 1 e fare il suo nome è punito da 1 a 3 mesi di reclusione.
Ti sei lavato le mani?Sì, certo amore, un minuto fa.Sì ma hai toccato la maniglia del frigo, nel frigo c'è il prosciutto crudo, magari avevi contaminato la maniglia e ora sei infetto!Ok mi lavo le mani. Di nuovo. E per aprire il frigo indosso la tuta anti-radiazioni che ho nella sala sterilizzata del bunker antiatomico in giardino. Non si sa mai. 
Iperboli a parte, Irene è stata bravissima, attenta e davvero metodica nell'evitare qualsiasi pericolo per Leo. Non avendo un gattino non abbiamo nemmeno dovuto curarci della pulizia della lettiera. Però non sono mancati i momenti di panico (dai Irene, raccontiamolo!), tipo quando mangiando un mandarino ha sentito un granello di sabbia sotto i denti (panico, telefonate alle amiche medico e nutrizionista e analisi il giorno dopo). 

Sì, decisamente: è in quei giorni che abbiamo iniziato a diventare papà e mamma. A sentire responsabilità e preoccupazione. E a confrontarci con il tabù tre mesi: la maggior parte degli aborti spontanei avviene in questo periodo. In alcuni casi non puoi davvero far nulla, però puoi mettere in campo molte azioni preventive. Non sono un medico, vi racconto solo la nostra esperienza: Leo doveva "attaccarsi" bene, quindi Irene ha vissuto tre mesi senza troppi stress, e la sua paraplegia ha, paradossalmente, favorito l'assoluta "quiete" del suo utero. In auto occhio alle buche (e a quelli che rischiate di investire quando le evitate). 

Prima dei tre mesi lo abbiamo detto solo ai nostri familiari. E a pochissimi amici. Troppo grosso il rischio che qualcosa andasse storto, troppo il grosso il rischio che la gioia si trasformasse in dramma. Sì, ve lo dicono tutti: nessuna illusione, è presto, aspettate. Però, se fosse accaduto, per noi sarebbe stato un dramma. Perché? Perché, come dicevo, ci sentivamo già papà e mamma del piccolo Leo. Perché Leo non era un embrione ma era già nostro figlio. Se avevamo paura? Sì, molta. Pensavo spesso a Luca Toni, che per il mio lavoro alla radio dell'Hellas Verona vedevo ogni giorno: con sua moglie Marta hanno perso un bambino all'ottavo mese. Sì, avevamo paura.

Poi nausee (confessalo Irene, eri felice di vomitare perché ti sentivi "molto" incinta!), analisi, ecografie e dritti verso il nostro bellissimo percorso che aveva una data presunta di fine: il 21 giugno. Quel giorno Leo sarebbe nato! Quel giorno Leo sarebbe nato! Quel giorno Leo sarebbe nato! Chiaro?

P.s. Abbiamo fatto tant(issime)e ecografie. L'eco era il momento più atteso, era il nostro appuntamento fisso per vederti. Dopo la prima (di cui vi ho già raccontato) ti abbiamo spiato il 5 novembre e il 26. Alle 14.32 di quel giorno ti abbiamo visto per la prima volta in versione #LeoFagiolino. Si vedeva chiaramente (e finalmente) la forma di un bambino con la testona. Ti abbiamo visto dall'alto muovere le tue manine. E ovviamente ci siamo detti che ci stavi salutando. Ma non ci siamo sentiti "più" genitori di prima: ci sentivamo già il tuo papà e la tua mamma, tantissimo, in ogni attimo, dal primo momento.

venerdì 31 luglio 2015

Come batte forte il tuo (piccolo) cuore

Il nostro miglior amico per 9 mesi: l'ecografo
Sacco vitellino. Sacco gestazionale. Embrione. Divisione cellulare. Poi, dopo quattro settimane circa, il cuoreAccade tanto prima, ma è quando vedi quel fogliettino muoversi, è lì che lo senti davvero vivo, il tuo bambino. Leo.

Il 22 ottobre 2014 è il giorno della prima visita ginecologica dalla dottoressa Graziella Mortaro. Entriamo nel suo studio e per 20 minuti sono solo carte, calcoli, misurazione della pressione e prescrizione di esami. Poi arriva IL momento: "Diamo un'occhiata?". "Mah, dottoressa, veda lei, se vuole...". La verità è che non stavamo aspettando altro. Diciamo che eravamo lì solo per quel momento, che sarebbe rimasto (ed è rimasto) per sempre nei nostri occhi.

Si accende il monitor dell'ecografo. Ore 16.12. "Questo è il sacco vitellino, questo è...". Ma non sto più ascoltando. Vedo una pallina nera nell'utero. E, all'interno, una piccola valvola o, con linguaggio scientifico, un fogliettino che si alza e si abbassa. È il cuore
No, ripetimelo. Quello è il cuore? Il cuore di mio figlio? Lui è già vivo? 
Si, ho fatto il giapponese. Ho tirato fuori l'iPhone e ho fatto un video. Lo riguardo adesso. Dura 40 secondi. Si sente solo: "Guarda che batte, che batte, che batte..." dice la dottoressa. Irene: "Piccolo". La dottoressa: "Ok?". Io: "Mpfh (sorriso sbuffo)". 

Batte. Come batte il tuo cuore. Lo guardiamo stregati. Solo sette giorni fa la conferma delle Beta, oggi ti vediamo, per la prima volta. Ancora non esisti, ma invece sì. Non si vede nulla di te, ma ci sei. Sei con noi. E tutto crescerà attorno al tuo cuore. E spero che tutto, nella tua vita, dal tuo cuore sarà comandato. Perché forse anch'io ti parlerò di razionalità, di cervello, di ragionare prima di agire, ma le cose più belle e avvincenti le farai guidato dal tuo cuore. Questo è quello che ho vissuto e questo è quello che ti dico. Da padre a figlio.

Spento l'ecografo torniamo alla scrivania. La dottoressa ci guarda e dice: "Fin qui ci siamo. Ora un passo alla volta". Ci tiene con i piedi per terra. Può succedere di tutto. Piedi di piombo. I fatidici tre mesi. Certo ma... c'è il cuore. 
No, ripetimelo. Quello è il cuore? Il cuore di mio figlio? Lui è già vivo? 
Usciamo dallo studio e avverto l'ormai solita sensazione di ebbrezza. Credo, in fondo, che un alcol test qualcosa avrebbe rilevato. Ok. Diventerò padre. Ho visto il suo cuore battere. Il cuore di mio figlio: suona stranissimo sentirmi dire che diventerò padre. Che poi non so nemmeno pronunciare la GL. Il cuore di mio fiio.

Piedi per terra. Poi paranoia. Poi moderato ottimismo. Sempre in guardia. Ma ogni giorno che passa è uno in meno a "tra nove mesi". Altro passo, altro traguardo. Andiamo avanti, noi tre, mano nella mano, cuore nel cuore. Ora sappiamo anche com'è il tuo.

P.s. Voglio confessarlo. Sono stato vicino a spendere oltre mille euro per un ecografo professionale usato. L'ho cercato su internet, sui siti di aste fallimentari. Volevo averlo a casa e guardarlo ogni giorno, più volte al giorno. Poi Silvia ci ha prestato l'aggeggio per ascoltare il tuo battito. E mi sono accontentato. Ero pazzo, e lo sono rimasto. E di te lo sarò per sempre.

sabato 25 luglio 2015

Evviva le Beta HCG!

10 ottobre 2014. Porto Palo di Menfi, Sicilia. Ristorante "La Lucerna". Sorpresa a papà, mamma e Chiara. Dopo un paio d'anni compro il primo biglietto, prendo l'aereo, noleggio un'auto e mi presento nella mia vecchia casa. Da solo, senza Irene: "Per qualche giorno non aveva senso...". Alla sera, come dicevo, si mangia pesce, of course. 

"Papà, mamma... Irene non è venuta perché forse...". A mamma e papà non bisogna dir nulla. Loro, rimasti al "se aspettate un nipotino da noi...", capiscono subito. Perché puoi cambiare idea, puoi cambiare residenza, puoi cambiare tu, ma il loro intuito no. Un momento fantastico, coronato da pesce fresco e vino bianco. Basato, quel momento fantastico, solo su una sensazione. In realtà il ciclo non è ancora nemmeno in ritardo. Ma sia io che Irene sentiamo che qualcosa è successo, che quantomeno è in atto. Lei, tornando da una cena qualche giorno prima, in auto ha la nausea. Ma non lo dice perché la prenderei in giro: le famose nausee immaginarie.

Il 13 ottobre torno a Verona. Devo subito andare in radio così prendo un test di gravidanza al volo in un ipermercato. Ispira meno fiducia di un'amaca precaria. Lo facciamo, risultato: positivo, forse. Linea troppo chiara. Lo schermino suggerisce: investi di più. Lasciamo perdere. 14 ottobre. In farmacia: "Un test di gravidanza, il migliore del mondo". Clear Blue, ti dice anche il colore degli occhi e se il nascituro apprezza la classica o il jazz. Viene subito convocato un summit in bagno. Pipì. Responso dopo 10 secondi: incinta, 2-3 settimane. Rimaniamo un'oretta a festeggiare in bagno ergendo a trofeo il test, con tanto di foto di rito. La festa più bella di sempre.

Ora però manca la conferma delle conferme, e cerchiamo, per quanto possibile, di non farci troppe illusioni. Manca il verdetto della celebre Signora Beta HCG. In sostanza, dopo primo grado e appello, la Cassazione delle gravidanze. Il sangue non mente, e allora via al prelievo e poi a casa ad aspettare il risultato che arriverà via mail qualche ora dopo.

Ci siamo. Beta: 580. Ma sulla prima riga leggo: non in gravidanza. Pirla, devi guardare il valore e la riga corrispondente. Con me c'è mia sorella Chiara. Irene è nell'altra stanza: INCINTAAA!!! E urliamo come nemmeno Fabio Grosso ai Mondiali del 2006. 

La prima cosa che facciamo è registrare un video, che sto riguardando adesso. Cinquanta secondi di gioia in cui parliamo con Leo, senza sapere se fosse con la O o con la A. Perché non aveva la minima importanza. Un video da rivedere tutti insieme, tra qualche anno. Io vado a lavoro con la sensazione di aver bevuto ben oltre il limite legale anche se non ho toccato nulla. Sono davvero ebbro. Riflessi rallentati, occhi lucidi e farfalle, falene e pettirossi nello stomaco.

La sera andiamo a festeggiare, io e Irene, al ranch Rocce Rosse. Lei lo ha appena detto alla sua famiglia, mentre io ero in diretta radio a parlare di calcio, ma con la testa solo ed unicamente a lui/lei-noi.

Bene. Ora è davvero iniziata. Questa storia, è in quel momento che è iniziata davvero. Eravamo incinti. Per la pipì e anche per il sangue.

martedì 21 luglio 2015

Ciao "la pillola", ma en passant, mica...

Vi ho già raccontato del "magari facciamo un figlio ma nooo, mica subito, mica ci pensiamo notte e giorno!". Bene, oggi è il giorno della pillola, che una volta si chiamava anticoncezionale, oggi è semplicemente "la pillola". Essa

Smettere di prenderla, per le coppie che la usano come metodo contraccettivo, è il primo vero passo per iniziare a "costruire" il piccolo bambino che già hanno nel cuore e nella mente, notte e giorno. 

Il momento in cui io e Irene abbiamo deciso di interrompere la contraccezione ricalca un po' il "magari facciamo un figlio", come dicevo. Il timore di "esporsi", di creare e crearsi false illusioni, la paura che poi qualcosa possa andare storto, possa dilatare i tempi o addirittura... tutti fattori che creano un momento più o meno così:
Emh... sì ti ricordi in Egitto... no pensavo, così... senza fretta, magari possiamo provare ad interrompere la pillola, poco alla volta (poco alla volta, geniale!)... certo mica dobbiamo subito provare a rimanere "incinti", se capita... cioè non è che terremo conto al secondo di ogni aspetto del ciclo... no no... figurati... mica deve diventare una fissa... vediamo... intanto smettiamo la pillola, facciamo tutte le analisi... ma non perché dobbiamo riuscirci subito... insomma se capita capita, altrimenti aspetteremo... senza drammi eh! Abbiamo un sacco di altre cose a cui pensare per adesso (?).
Altrimenti aspetteremo. Sarà. Ma improvvisamente iniziano le nausee immaginarie, il farmacista inizia a chiedersi se tutti quei test di gravidanza li rivendi in Iran spacciandoli per barre di uranio. Quello che una volta, se negativo, era il tuo migliore amico, oggi DEVE mostrarti due lineette. Altrimenti verrà cestinato senza nemmeno una foto ricordo.

La verità, nel nostro caso, è che da quando abbiamo deciso di provarci "per davvero", quando abbiamo messo fine all'attesa del momento giusto, è stata la cosa che più al mondo volevamo. E sì, avevamo paura che non arrivasse, che potesse metterci diverso tempo, che, che, che, che.

Quel giorno, il giorno dell'addio ad "Essa", dello stop a "La pillola" lo ricordo bene. Fa parte, quel momento, dei tanti concepimenti di Leo, dei tanti piccoli tasselli che ci hanno portato fino a lui che mentre scrivo si sta ubriacando di latte accanto a me.

La verità è che ricordo ogni cosa detta e pensata da quel giorno in Egitto. Dal giorno della nostra presa di coscienza: eravamo pronti, e speravamo che il mondo cospirasse a nostro favore. Che tutto andasse bene. E, per inciso, se così non fosse stato, sarebbe stato un grande dolore. Forse il più grande. Senza forse. Anche se eravamo all'inizio. Anche se eravamo ai "preliminari". Anche se.

Ma torniamo ad "Essa". La pillola fu cessata ufficialmente a fine agosto. Quello che accadde di lì a poco ve lo racconterò presto. Anche se lo strano tipo accanto a me, pieno di latte, rovina la suspence: sapete già come andrà a finire.

giovedì 16 luglio 2015

Un bambino? Io e te? E se vince Bersani?

Benny&Irene, alias Papà&Mamma, a Sharm el Sheik (2013)
È lunedì 25 febbraio 2013. Sono le 20 e il luogo è il Melìa Resort di Sharm el Sheik. Tra poche ore si conoscerà il verdetto delle urne. In Italia si è votato infatti per eleggere il nuovo Parlamento. 

Io e Irene siamo da soli a bordo piscina, sprofondati sui grandi divani tuttocuscini tipici di quei luoghi. I russi che popolano il resort insieme ai loro bracciali free-drink sono tutti a letto. Siamo in attesa di notizie dall'Italia perché da una serie di circostanze dipende il nostro immediato futuro. Nel 2010 mi ero infatti candidato alle elezioni regionali del Veneto risultando il primo dei non eletti nella mia lista. La persona che era stata invece eletta era ora candidata al Parlamento in una delle liste collegate a Bersani. Se avesse preso un buon numero di voti e la sua lista avesse raggiunto il quorum, lui sarebbe andato a fare il deputato e io gli sarei subentrato al Consiglio Regionale. 

"E se, e se, e se". Quella sera parliamo molto del futuro, come forse mai avevamo fatto perché io e Irene siamo sempre state persone che vivono il presente, l'ora e adesso. 
E se... ci sposassimo? No, non ci interessa. Andiamo a vivere a Cuba? Tu fai la psicologa, io faccio l'istruttore subacqueo... umh vediamo. Boh, magari, un giorno, ci verrà voglia di fare un bambino..
Momento di silenzio. Ognuno dei due pensa: 
se dico sì, se dico no, se dico forse... come la prenderà lei/lui. Ma se dico sì e poi... e se dico no e magari... no perché io voglio, cioè, forse... dipende da... bisogna aspettare il momento giusto* no?
"Boh, magari, un giorno, ci verrà voglia di fare un bambino".

Piccolo antefatto (che i nostri amici conoscono bene). Io e Irene eravamo posizionati molto bene nella classifica mondiale dei "no per carità, i bambini sono bellissimi finché sono degli altri". Lì, in Egitto, quella sera, è scattato quel meccanismo che molti di voi conoscono bene: se pensi anche lontanamente di avere un figlio... vuol dire che lo vuoi, e che da quel momento inizierai a considerare che sì, può accadere. Puoi volerlo più o meno intensamente, ma qualcosa, in te, in voi, è scattato.

"Boh, magari, un giorno, ci verrà voglia di fare un bambino".

Quella notte, su quel divano pieno di cuscini, a bordo della piscina del Melìa di Sharm el Sheik, con il mare a pochi metri, è nata dentro di noi una consapevolezza: eravamo pronti anche soltanto a pensare di avere un bambino. Quando? Non lo sapevamo, ma quando il meccanismo parte è solo questione di tempo. Lei l'università, io i libri, i giornali e il vezzo di una laurea specialistica da tempo libero (esami finiti, tesi ancora oggi da discutere. Non è scattato il meccanismo). Quella sera sappiamo che non c'è fretta. E infatti passeranno due anni prima che ci provassimo davvero. Però a Leo lo racconteremo. Che un bambino si concepisce almeno in due momenti. Il suo primo momento è stato in un posto bellissimo, in un momento di grande amore, tra persone che nessuno sarebbe riuscito a dividere.

Per la cronaca vinse Bersani. Quella sera, dico, alle elezioni italiane, vinse Bersani. Che poi non farà il premier e andrà a bere una birra da solo. Ok non importa. La persona che mi aveva preceduto in Regione prese pochissimi voti e io, in Regione, non andai. E infatti sono ancora incensurato e senza indagini a carico. Tornammo in Italia senza influenza intestinale. Riprendemmo la nostra vita insieme. Con un pensiero, dolcissimo, in più.

*Amici. Il momento giusto non esiste. Lo ha inventato la Durex. Il momento giusto non arriva mai. E quando arriva è tardi. Il momento giusto è quando state pensando "aspettiamo il momento giusto".

martedì 14 luglio 2015

Vi racconto il nostro viaggio più bello: Leo!

Benny&Irene, alias Papà&Mamma, a San Zeno di Montagna (VR)
Ciao a tutti, mi chiamo Benny, ho 30 anni, e con Irene, 27, siamo i genitori (ubriachi di gioia) di una meravigliosa creatura che abbiamo chiamato Leo (sì, Leoebasta).

Nella mia vita ho sempre scritto; l'ho fatto per passione, per professione, talvolta per frustrazione. Ho sempre scritto di morte e di mafia. Di criminali e vigliacchi. A volte di eroi. Troppo poche però. 

Il 15 giugno 2015, come dicevo, è nato Leo, il nostro primo bambino. La nascita di Leo è stato un evento che mi ha preso da dentro e mi ha dato uno scossone così forte che non sono certo tutto sia tornato al suo posto. 

Sono molto geloso e pudico quando si tratta di nostro figlio. Ma ogni giorno con lui è un susseguirsi di emozioni e incredibili aneddoti che vorrei raccontare a chi vorrà leggere questo blog. Perché dentro di me non è abbastanza, perché nella mia vita ho sempre condiviso con gli altri le cose brutte con il fine di superarle. Oggi voglio condividere la cosa più bella perché credo sia un piccolo contributo per rendere questo strano mondo un posto più bello. Perché qualunque cosa accadrà, finché avremo Leo a nostro fianco sarà sempre un giorno bellissimo. 

Da oggi racconterò il prima, il durante e il dopo, immaginando un giorno di rileggere questi post con accanto il nostro piccolo uomo. Se Irene lo vorrà potrà condividere anche lei i suoi pensieri. Ora devo proprio andare. Ci sono cose che si possono rimandare a altre no: il cambio pannolino è una di queste.