lunedì 28 settembre 2015

Il cuore tenero di papà

Sono sempre stato un romantico, un sognatore, in ogni aspetto della mia vita. Ma, come ho già raccontato in questo blog, non sono mai stato travolto dalle emozioni. Dopo la nascita di Leo qualcosa (di grosso) è cambiato. Dopo l'inconsolabile pianto di gioia da cui sono stato letteralmente travolto al momento del parto, ci sono stati altri episodi indelebili che voglio raccontare oggi.

Il primo è accaduto la prima o la seconda notte a casa. Eravamo sul letto con Irene cercando di approfittare del sonno di Leo per riposare anche noi. Ma di dormire non c'era verso perché volevamo parlare, volevamo ricordare insieme quanto vissuto qualche giorno prima. Ed è stata una frase di Irene a farmi crollare (e due!). Stavamo rivivendo attimo per attimo il parto e lei: "Ricordo ogni parola che mi hai detto durante tutto il travaglio". In quel momento abbiamo sentito uno sparo: era il mio self-control che si toglieva la vita. Sono esploso ancora una volta in un pianto di purissima gioia. Così, già che c'era, anche Irene si è unita. Credo sia una frase dolcissima, piena d'amore.

Il secondo momento il cui il mio nuovo cuore tenero mi ha tradito è stato circa una settimana fa. Leo è nella fase in cui inizia ad avere il pieno controllo dei movimenti delle braccia e delle mani. Mentre eravamo sul divano a coccolarci, lui ha alzato il braccio e con la mano ha iniziato a toccarmi la bocca, il naso, le guance. L'ho visto scoprire pian piano il mio viso, e mentre lo faceva sorrideva. Secondo sparo e addio ad un'altra vita del self-control.

Il terzo e il quarto episodio sono accaduti questa mattina. Prima di andare a lavoro stavo facendo un po' d'ordine nei cassetti della cucina. Tiro fuori alcuni sacchetti dell'Ikea, quelli che si sigillano con le mani (nella foto in alto). Tra questi c'erano quelli che Irene aveva preparato, con tanto di etichetta, per i giorni pre e post parto: asciugamano, primo cambio carrozzina, sala parto. Terzo sparo. Ho rivissuto i momenti in cui abbiamo acquistato quelle etichette, in cui piegava e sigillava quei vestiti che io avrei preso in mano nei minuti successivi al parto.

L'ultimo sparo si è udito poco dopo. Io e il mio redivivo self-control accendiamo il pc per scrivere questo post e per non sbagliare facciamo un giro su Facebook. Mi si apre questo video. Ad un bambino affetto da sordità, che avrà avuto l'età di Leo, viene applicato per la prima volta l'apparecchio acustico. E, per la prima volta, sente la voce della mamma. Un video che prima di avere Leo mi avrebbe fatto sorridere per qualche secondo, ma che subito dopo avrei archiviato senza serbarne ricordo. Rischio la banalità: ci sono cose che se non sei un genitore non potrai mai, mai capire, analizzare, comprendere e vivere. E io, ovviamente, l'ho capito solo ora.

mercoledì 23 settembre 2015

Dall'ospedale a casa, da coppia a famiglia

BennyPapà e Leo il 27 giugno
Le prime tre notti dopo il parto Irene non ha mai chiuso occhio. Allattamenti, certo, ma soprattutto coccole e voglia di non smettere mai di guardare Leo. Temevamo che, a causa della piccola emorragia avuta durante il parto, la tenessero in ospedale più dei canonici tre giorni previsti dopo il parto naturale. Invece, la mattina del 18 giugno, l'ostetrica ci comunica che dopo le visite saremmo potuti andare a casa.

Tornare a casa dopo il parto è un momento bellissimo e un rito in sé: la preparazione dei bagagli, l'allestimento dell'ovetto dopo lo studio e le prove effettuate in gravidanza, la disattivazione dell'air-bag del lato passeggero, il guidare come se si trasportassero uova senza guscio, l'aprire la porta e per la prima volta tornare a casa come una famiglia dopo esserne usciti, l'ultima, in due, di corsa e con una pancia enorme.

Quel 18 giugno, comunque, è tutto pronto. Leo va in ovetto e si lamenta un po'. Irene, dal colorito tra il giallo e il bianco, raccoglie le ultime cose e, aiutati da nonna Antonella, usciamo dall'ospedale. Saliamo in auto e partiamo. Anzi no. Prima perdo una decina di minuti con il manuale dell'auto in mano perché non riesco a disattivare l'air-bag del lato passeggero. Se state ridendo non è un bel gesto. Quindi, dopo imprecazioni e sudata caldo-fredda, si parte. 

Durante il viaggio Leo piange un po', così inizio a cantare canzoni completamente inventate. Provo anche con la radio. Così, dopo 10 minuti che sembrano svariate ore, arriviamo a casa.

È tutto nuovo in tre. Improvvisamente, anche a causa di passeggini e affini, la casa sembra più piccola di quel che (realmente) è. Io ho ancora quattro giorni di ferie e stiamo tutti e tre 24 ore su 24 insieme. Dormiamo quando dorme Leo e, mentre Leo dorme, mangiamo, sempre rigorosamente attaccati alla navicella. Sì, Irene, più che Benny, è terribilmente (o fantasticamente) simbiotica.

No, non è tutto poesia, non è tutto facile. Durante le prime notti dormiamo al massimo 3-4 ore. Siamo dilettanti, dobbiamo capire. Di là dorme mia madre, ma noi vogliamo e dobbiamo cavarcela da soli. E allora non capiamo: "ha fame, non ha fame, ha sonno, non ha sonno, ha le coliche ecc.". Ci innervosiamo, litighiamo. Poi, al sorgere del sole, dimentichiamo tutto. 

Oggi, che sono passati più di tre mesi, siamo felici di aver sbagliato, di aver litigato, di non aver capito. Bisogna provare e sbagliare. Bisogna conoscere il proprio figlio perché non esiste un manuale o dei consigli universali. Bisogna abituarsi a rigurgiti e a cacca e pipì fuori dal pannolino in piena notte, a resistere alla tentazione del "dai, dorme, lo cambieremo appena si sveglia" quando è evidente che sta navigando nella cacca. Così, ancora oggi, per me è bellissimo svegliarmi un paio di volte a notte, tutte le notti, prendere in braccio Leo, appoggiare la sua testa al mio petto, e andarlo a cambiare. Lui ride, mi parla e io lo coccolo. Poi, pulito, va dalla mamma che lo allatta. E io torno a dormire. Lei lo allatta, lo tiene su, e dopo il ruttino lo rimette nella culla. E poi torna a dormire.

Siamo una squadra. Non so se la più forte o la più scarsa, ma siamo la nostra squadra. E ogni giorno sbagliamo e cerchiamo di imparare. Ecco, forse ad oggi è questa la definizione che posso dare dell'essere genitori. Si cerca di essere i migliori, non sempre si riesce, ma sempre ci si prova.

venerdì 4 settembre 2015

E poi Leo è nato! (seconda parte)

Finalmente noi tre! Pochi minuti dopo il parto

Lo vedo solo con la coda dell'occhio. Lo sento piangere immediatamente. Irene scoppia a ridere, io in un pianto che non riesco a trattenere. Pianto di gioia, ma anche liberatorio. Abbraccio Irene e continuo a riperetere "è nato, è nato, amore è nato e sta bene". E piango ancora, come se non ci fosse un domani. 

Il pediatra lo prende dalle mani dell'ostetrica e lo porta in un'altra stanza per due, tre minuti. Poi torna e lo dà alla sua mamma. Per la prima volta vedo nostro figlio Leo: è l'immagine più bella del mondo, di un'intensità che mi toglie tutte le energie. 

Leo è tranquillo, non piange, si guarda intorno. Lui non sa ancora quanto lo abbiamo voluto, quante persone lo stiano già aspettando. Quanto il mondo sarà migliore grazie a lui, se solo lui lo vorrà. Sono momenti che avrei voluto riprendere, o forse no. Per rivederli, o forse no, perché rimangano solo nella nostra memoria, unici, irripetibili. Anche perché, se fisso una parete bianca, li vedo proiettati, attimo per attimo. 

Poi Irene decide che va tutto troppo bene e dunque vale la pena regalarci un po' di thrilling. Ha una piccola emorragia, niente di eccessivo, ma è molto vicina a perdere i sensi. Mi danno Leo in braccio, nel suo fagotto, tranquillo, sereno. È la prima volta. Mi sento nel posto più alto del mondo e guardo tutto e tutti da lassù. 

I medici iniziano ad armeggiare su Irene. Sento che qualcosa non va e inizio ad avere paura. Paura e gioia. Leo mi tranquillizza. Ostetrica e ginecologa continuano a controllare la sacca che raccoglie il sangue. Da lontano, dall'altro lato della stanza, parlo con Irene: "Amore non addormentarti, stai con noi, guarda Leo...". Lei risponde con dei suoni. No, non va bene. La paura aumenta. Poi, dopo 20 minuti, lentamente riprende conoscenza, l'emorragia si ferma e può riabbracciare Leo. Che, appena sente il seno, si attacca e, come se lo facesse da una vita, mangia. Ci abbracciamo tutti e tre e tutto intorno diventa il luogo più bello del mondo.

Ci accompagnano in stanza. I nonni di Verona (con le zie) ci stanno già aspettando, quelli siciliani (con la zia) sono pronti per prendere l'aereo. Arrivano Andrea e Veronica che portano etti ed etti di soppressa in smacco alla toxo che ora appare inoffensiva. Portano un quotidiano, la Repubblica, perché Leo un giorno possa leggere cosa accadeva in questo giorno speciale. E poi non ricordo altro. 

Leo a poche ore dal parto è già bellissimo. Stupendo. Tranquillo. Sereno. Apre gli occhi, si addormenta, mangia. Sono pazzo di gioia. Riesco solo a capire questo. È piccolo e grande, è forte e delicatissimo. Sembra nato da qualche giorno, ha un colorito bellissimo. Irene, invece, non ha più alcuna forza. Ha perso molto sangue, continua a tentare di svenire. 

In quel momento vorrei abbracciare e baciare l'ostetrica, il personale sanitario, tutti quelli che mi hanno dato tra le braccia mio figlio. So anche che se qualcosa fosse andato storto sarebbe stata "solo colpa loro, incompetenti, vi rovino ecc.". Siamo così, viviamo di incoerenza. 

Scrivere e rivivere quei momenti mi ha tolto le energie. Mi rendo conto che è davvero troppo, troppo grande quello che è accaduto. Oggi, 15 giugno 2015, dalle 18.45 è iniziata una nuova vita. Quella di Leo e la nostra, che per Leo viviamo. È iniziata la storia più bella mai scritta, ancora tutta da scrivere. Sarà un romanzo sociale, condiviso. Io farò di tutto perché il suo mondo sia il migliore possibile, perché la sua storia sia la più bella. Non so se ci riuscirò, ma ci proverò in ogni gesto, in ogni attimo, in ogni sospiro.

giovedì 3 settembre 2015

E poi Leo è nato! (prima parte)

Irene ad un paio d'ore dal parto. Soffro di più io
È il 15 giugno 2015. Mancano 6 giorni al termine della gravidanza. Tutto sta procedendo per il verso giusto. Oggi ho una riunione alle 9 e una conferenza stampa alle 10.30 a Peschiera del Garda. Alle 7 mi sveglia Irene. "Ho le contrazioni, mi sembrano forti e costanti". Anche due giorni prima era successa la stessa cosa, ma tutto era rientrato. "Ok, io vado, se continuano chiamami e arrivo al volo". Alle 9.30 arriva la telefonata: "Amore, ho fatto la doccia e credo si siano rotte le acque, ho perso il tappo... vieni a casa!". Mentre guido mi arriva un sms da sua sorella, Arianna: "Fai veloce, grazie". 

Pausa. È difficile anche solo pensarlo questo post. L'emozione di quel giorno è troppo grande. Ho gli occhi con i lacrimoni pronti a debordare. Ma state lì, fate i buoni. È troppo grande, troppo bello per riuscire a raccontarvelo come si deve. 

Ok, va meglio. Dicevo che parto e volo a casa. Tutto è pronto per andare all'ospedale Borgo Trento, che ha seguito passo passo e monitorato con grande attenzione la gravidanza di Irene. Ha voluto occuparsene direttamente la dottoressa Debora Balestreri, responsabile di ostetricia e sala parto. Diciamo il Messi del Barcellona. Le contrazioni non cessano, anzi, aumentano di frequenza e intensità. Sono tentato dalla tamarrata del fazzoletto bianco dal finestrino, ma non lo trovo. Arriviamo e subito viene attivato il tracciato. Sembra che le contrazioni non siano così forti. Poi subito la visita: "Signora è dilatata di 4 centrimetri, la accompagnato in stanza". Bene, penso, ora con calma ci metteranno in stanza e chissà quando nascerà. Come spesso accade non avevo capito nulla. La "stanza" è la sala parto. Sento che tutto il mondo ha pigiato sull'acceleratore e non riesco a starci dietro. "Di già? Adesso? Aspettate, non capisco, cioè". Ma tutti vanno veloce e non mi ascoltano. 

Ci accompagnano in una tranquilla e rilassante sala parto. Ci affidano ad una giovanissima ostetrica, Ilaria Bettinsoli. Piccola e minuta. La guardo e dico: "Tutto qui? Lei, da sola, farà nascere mio figlio? Speriamo almeno non sia al suo primo parto". Mi sentirò molto pirla per questo pensiero. Se la Balestreri è Messi, lei è tranquillamente Iniesta: tutti dicono un gran bene di lei. 

Ah sì, non l'ho detto prima: Irene farà un parto naturale, anche se altri addetti ai lavori avevano avanzato alcune perplessità rispetto alla sua paraplegia, alla sensibilità alle contrazioni ecc. La Mortaro prima, e la Balestreri poi, sono sempre state certe di ciò: "Farai un bellissimo parto naturale". Quindi dobbiamo solo aspettare. 

Parliamo, scherziamo, mangiamo. Ci selfiamo. Ogni due ore viene visitata. La dilatazione aumenta: prima 6, poi 8. Poi, nel giro di un'ora, arriva a 10 centimetri. Ora Irene inizia ad accusare un dolore vero. Non fa più il fenomeno. Fino a quel momento era l'attrazione del reparto: "Oh, di là c'è una dilatata 8 che non ha male". Le contrazioni ora le sente eccome. 

"Sento di dover spingere" dice all'ostetrica. "Aspetta, è troppo presto". "No, non riesco a trattanere". "Ok - dice l'ostetrica - mi preparo". Ok, ora ho capito davvero. Leo sta per nascere. Per davvero. Dopo nove mesi ci siamo. Tutto sarà finito tra poco e inizierà di nuovo. Siamo alla fine del travaglio. Arrivano le infermiere, due ginecologhe e l'anestesista. I minuti passano veloci come i secondi. Inizio ad avere paura di svenire davvero. Da spavaldo a pirla, ancora. Irene inizia a spingere sul serio. Leo ha la testa praticamente ormai al limite. Io è da almeno più un'ora che con un ventaglio produco più energia di una pala eolica. Guardo Irene, guardo lo staff sanitario. Capisco che sono preoccupati perché quando Irene spinge il battito di Leo perde intensità. Intuisco che non vogliono correre rischi e risolvere tutto in un paio di spinte. La ginecologa è siciliana, di Palermo credo. "Signooora, spinga forte che a questa nasce". Arriva la contrazione. Irene spinge fortissimo. Fermo l'immagine e vedo una donna bellissima che sta per regalarmi la gioia più bella di sempre. È sudata, scapigliata, stravolta dal dolore ma forte, coraggiosa e pronta. Schiaccio play, Irene urla, tantissimo, e in un solo colpo, tutto insieme, nasce Leo(continua...)